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sabato 24 ottobre 2015

Della superficialità del pensiero, di Tonio Troiani

Copertina di Pierpaolo Miccolis
Pubblicare un libercolo di “filosofia” per un piccolo e coraggioso editore – Pietre Vive – che decide di includere il lavoro in una collana dal titolo emblematico come iFossili e scegliere un titolo che pone in primo piano l’inutilità delle riflessioni ivi contenute, è affermazione di icastico coraggio.
L’autore – Teodoro Custodero – dedica «ai tempi di facebook» il proprio tempo a riflessioni superflue su quell’emblematica presenza che assilla il pensiero filosofico sin dalla sua fondazione, attraverso sentieri a volte piani e superficiali, talvolta carsici e impervi, strettoie e cunicoli che sfiorano il pensiero comune, ma ne divergono prendendo direzioni ostinatamente contrarie.
Pensieri superflui sullo spirito ai tempi di Facebook gode in maniera complessa di questa ostinata contrarietà. Da un lato, il lavoro – agile e veloce – si presenta subito come un’opera che depone qualsiasi velleità accademica, collocandosi in una colloquialità concreta tesa ad appellarsi ironicamente ad un fantomatico lettore che sfoglia le pagine dimesse e talvolta azzimate di rotocalchi rosa piuttosto che le polverose pagine di Gesamtausgabe, che concrescono anno dopo anno, «annerendosi» progressivamente.
Il tema che Custodero rincorre, attraverso progressive navigazioni che accerchiano evocando una presenza impalpabile, è di bruciante attualità, ma lo fa mettendo tra parentesi quella che potremmo considerare l’attuale via maestra. L’autore con sguardo smaliziato e distante guarda attraverso i risultati delle neuroscienze preferendo un approccio che spazia dalla fenomenologia sin anche al disincanto di un novello Chateaubriand. Certo, la disinvoltura di Custodero nell’attraversare territori distanti, facendo saltare le articolazioni e i confini tematici potrebbe risultare fastidiosa per il lettore addentrato in letture filosofiche, che vorrebbe vedere tutto documentato e vincolato a fonti certe e riscontrabili «alla mano», ma l’autore se ne infischia, sancendo anche la natura deiettiva del citazionismo sia esso inconsapevole o strumento metodologico.
Per lui il citazionismo è una forma di solitudine: nello spazio accogliente della citazione, nell’abbraccio delle caporali basse si apre lo spazio in cui ci si riconosce e si certifica la validità della propria identità, che passa attraverso la voce d’altri. In una serie di riflessioni stringenti – che troviamo nella seconda sezione del lavoro – con agilità e profondità, si traccia una fenomenologia della figure in cui si concreta la relazione tra corpo e spirito, decostruendo qualsiasi concezione verticista e riduzionista, facendo scontrare il materialismo del nuovo millennio con l’afflato spiritualista (e curiosamente spiritista, giocando con le parole).
In tal modo, Custodero mappa la società contemporanea tratteggiandone il «profilo» a partire dall’esperienza personale che ognuno di noi vive. L’accesso alla ri-flessione filosofica, al ripiegarsi del pensiero nel vuoto del tempo non nevrotizzato e colmato dalla socialità virtuale, passa attraverso il quotidiano disumanizzato della tecnologica informatica. In una piattaforma in cui la condivisione non è più un essere-con, ma un abulico e sconsiderato atto di ipertrofia dello spirito, il corpo e l’iconico – tratto questo non abbastanza sottolineato dall'autore – sono il mezzo senza scopo: il corpo svelato e normato da esigenze spirituali ed estetiche, in un corto circuito tra i due, viene introiettato in un mondo virtuale che lo schiaccia e lo riduce a mero significante. Pure l’autore non si limita a plasmare l’itinerario avendo come stella polare il narcisismo della nuova socialità virtuale, ma con piglio post-moderno attraversa la storia della filosofia e del pensiero tout court, toccando zone carsiche come quelle illuminate dal pensiero della mistica Teresa d’Avila.
Custodero non è un semplice cronista e non si limita – in linea con l’atteggiamento sprezzante nei confronti dell’erudizione e della citazione – a riportare semplici considerazioni e glosse a margine, ma spesso rilegge (o dis-legge) il pensiero degli autori chiamati in causa, non autorità, ma semplici interlocutori. Sfilano così tra le pagine del testo tanto i soliti spettri filosofici – da Platone a Cartesio passando per Hegel e Marx – ma anche pensatori minori o apparentemente estranei, che vengono tutti collocati in una prospettiva vitale ed esistenziale che passa dall’esperienza concreta di un cristianesimo che guarda al Cristo prima della ellenizzazione di Paolo di Tarso e Agostino.
Teodoro Custodero (al centro) con il poeta Andrea Ponso (a sinistra) e Leonardo Goldin (a destra), 'altra voce' del volume
Custodero così recupera un nesso vitale tra spirito e corpo, affondando le mani nella testimonianza evangelica, prima del farsi dottrina e norma, in linea con il messaggio ebraico, tradito dal cristianesimo platonizzante. Sembra strano che proprio in questo frangente, l’autore non si appelli ad un pensatore organico come Sergio Quinzio, che più di altri ha insistito sulla natura mondana del messaggio escatologico ebraico.
Ma, qua il cristianesimo è lontano da preoccupazioni millenaristiche preferendo, invece, farsi guida ed evocazione ad uno spazio in cui, al di là di ogni possibile codificazione ontologica dell’oggetto studiato, si dà la possibilità di un incontro tra i due attori. Scrive Custodero: «Se... mi lascio travolgere dalla vita, il mio sguardo intellettuale e sensoriale lascerà spazio a quell’esperienza originaria della totalità familiare umana. Ognuno di noi, in quanto totalità vivente, è in relazione con l’altro e in relazione con la totalità familiare […] Le parole si devono limitare... a raccontare questa esperienza dell’unità spirito-corpo... evocandola. […] Non solo il filosofo e lo studioso – che anzi in questo contesto appaiono in difficoltà – la può guadagnare, ma chiunque si apra alla relazione fondamentale con la vita.» (pag. 89).
Ecco, allora, che Custodero con un abile gesto teorico disinnesca a monte la deferenza filosofica esplicitando che ogni peregrinazione intellettuale non ha che come punto di partenza e di arrivo la vita stessa. Primum vivere, deinde philosophari o forse sarebbe meglio dire della superficialità (e/o inutilità) e della necessità della filosofia.
Il pensiero come prodotto di uno spirito non teticamente dedito al corpo è superficiale e solo affrontando le figure in cui si concreta, scorrendo con le dita sulla superficie delle cose, la riflessione filosofica come esercizio esistenziale può mostrare a chiunque un’apertura e una prospettiva vitale. Merito dell’opera, allora, è la curiosità prima personale e poi quasi maieutica con cui si riferisce all’uomo di strada nel tracciare un itinerario apparentemente complesso, ma che restituisce un’immagine non polverosa e anti-storica della filosofia, sapere invece che si fa cammino, guida, itinerario e speranza.

[Teodordo Custodero, Pensieri superflui sullo spirito ai tempi di Facebook, prefazione di Roberto Finelli, Pietre Vive 2015, collana iFossili]

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