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Copertina di Pierpaolo Miccolis |
È da un po' che lo penso ma ora la cosa appare evidente: si sta diffondendo una nuova credenza, il facebookcentrismo. A differenza della teoria eliocentrica, il facebookcentrismo non è nato in una ristretta cerchia di scienziati ed intellettuali ma è stato riconosciuto innanzitutto dalla gente comune. In sintesi esso consiste nel credere che 1) Facebook è il mondo; quindi 2) si esiste solo se si è su Facebook e perciò 3) quanto si dice o pubblica su Facebook è la realtà.
Lavorando nella scuola ho notato questo innanzitutto negli adolescenti. I ragazzi, impegnati nella costruzione della propria identità, creano i profili con cura quasi maniacale perché li ritengono specchio di quanto sono o vorrebbero essere: pubblicano foto da strafighi, scrivono aforismi, ci tengono a fare la telecronaca di tutte le attività della giornata (aperitivi, uscite, impegni scolastici ecc). Ma questo atteggiamento, lungi dall’essere ristretto a quella fascia di età, è rintracciabile anche negli adulti di tutte le estrazioni sociali: si trovano mamme che ci aggiornano passo per passo sullo sviluppo dei propri bambini (addirittura quante volte fanno cacca!); professionisti che raccontano le vacanze appena fatte, allegandovi book fotografici da fare invidia alle agenzie di viaggio; artisti che caricano video, locandine e quant’altro delle proprie performance; politici che utilizzano Facebook per creare consenso attorno a loro e comunicare i propri intendimenti e programmi. Perché si è deciso di rimuovere il mondo vero e sostituirlo con quello virtuale?
Questo nuovo mondo, il web, è meraviglioso per le possibilità che ha di azzerare le distanze e i confini, ma è al tempo stesso terribile perché cancella completamente la dimensione del corpo e conseguentemente della relazione, sostituendola con amicizie virtuali, fatte di parole in chat ma non di contatti, sguardi, strette di mano quando ci si incontra per strada. La conseguenza è che la parola assume una funzione spropositata, divenendo depositaria di tutto quanto si può comunicare e attribuendole una forza che in realtà non ha: cambiare la realtà, le persone, il mondo. La parola, figlia dello spirito, viene considerata un’arma potentissima, capace di rivoluzionare ogni cosa. Ma a ben vedere quest’arma, è una spada con la punta smussata perché da sola non può quello che le si richiede di fare. Il motivo sta nel fatto che io non sono solo spirito ma anche corpo. La rimozione della propria corporeità implica una rimozione di tutta la realtà, del mondo. Lo spirito, attraverso le nuove tecnologie, vorrebbe quindi far di nuovo parlare di se cancellando tutto ciò che non è lui: ci sta servendo la sua vendetta hitech!
[Teodoro Custodero, Pensieri superflui sullo spirito ai tempi di Facebook, Pietre Vive, 2015]
Lavorando nella scuola ho notato questo innanzitutto negli adolescenti. I ragazzi, impegnati nella costruzione della propria identità, creano i profili con cura quasi maniacale perché li ritengono specchio di quanto sono o vorrebbero essere: pubblicano foto da strafighi, scrivono aforismi, ci tengono a fare la telecronaca di tutte le attività della giornata (aperitivi, uscite, impegni scolastici ecc). Ma questo atteggiamento, lungi dall’essere ristretto a quella fascia di età, è rintracciabile anche negli adulti di tutte le estrazioni sociali: si trovano mamme che ci aggiornano passo per passo sullo sviluppo dei propri bambini (addirittura quante volte fanno cacca!); professionisti che raccontano le vacanze appena fatte, allegandovi book fotografici da fare invidia alle agenzie di viaggio; artisti che caricano video, locandine e quant’altro delle proprie performance; politici che utilizzano Facebook per creare consenso attorno a loro e comunicare i propri intendimenti e programmi. Perché si è deciso di rimuovere il mondo vero e sostituirlo con quello virtuale?
Questo nuovo mondo, il web, è meraviglioso per le possibilità che ha di azzerare le distanze e i confini, ma è al tempo stesso terribile perché cancella completamente la dimensione del corpo e conseguentemente della relazione, sostituendola con amicizie virtuali, fatte di parole in chat ma non di contatti, sguardi, strette di mano quando ci si incontra per strada. La conseguenza è che la parola assume una funzione spropositata, divenendo depositaria di tutto quanto si può comunicare e attribuendole una forza che in realtà non ha: cambiare la realtà, le persone, il mondo. La parola, figlia dello spirito, viene considerata un’arma potentissima, capace di rivoluzionare ogni cosa. Ma a ben vedere quest’arma, è una spada con la punta smussata perché da sola non può quello che le si richiede di fare. Il motivo sta nel fatto che io non sono solo spirito ma anche corpo. La rimozione della propria corporeità implica una rimozione di tutta la realtà, del mondo. Lo spirito, attraverso le nuove tecnologie, vorrebbe quindi far di nuovo parlare di se cancellando tutto ciò che non è lui: ci sta servendo la sua vendetta hitech!
[Teodoro Custodero, Pensieri superflui sullo spirito ai tempi di Facebook, Pietre Vive, 2015]
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