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martedì 1 luglio 2014

Il sindaco, di Claudio Metallo: una lettura di Giulia Foresti

Il Sindaco, di Claudio Metallo
Questo primo libro di Claudio Metallo è, come si dice in gergo, breve ma intenso. Dalle sue 50 pagine esce un ritratto oserei dire perfetto di uno di quei personaggi che sono l’incarnazione della tendenza tutta italiana ad azzerare il rapporto, invece imprescindibile e intoccabile, tra la politica e la cosa pubblica.
Tra un caffè offerto a “chi conta” e una partita di calcio (perché “aiutare o girare attorno alla squadra dà prestigio”), il sindaco Franco Parlante ci fa vivere una quotidianità – di cui il dialetto si fa complice dove la politica è nient’altro che un mezzuccio per l’affermazione personale, dove l’incontro tra le due dimensioni avviene per mezzo di arrivismo, convenienti bugie ed interessi personali.
Nato Nessuno, quasi per caso il Sindaco si ritrova nel mondo fatto di politici, mafiosi, speculatori, “magistrati che vogliono fare carriera”, ovvero che tentano di arginare scempi di varia natura. E ci sguazza, anzi, fa di più: ci investe tutta la propria esistenza. La volontà di riempire un vuoto di chi è incapace di costruirsi un Sé compongono un pericoloso mix tra il privato più intimo e il pubblico ad ogni costo: esorcizzare la propria misera esistenza qui è un bacio che unge le foto di chi se n’è andato oppure la messa in piazza di affari intimi altrui durante un “dibattito” preelettorale. Il quale, tra l’altro, ha come lieta cornice due palme hawaiane arrivate grazie a due costruttori edili che hanno “elevato odi al cemento armato in tutta la costa” e che fanno affari con chiunque (“prima il potere economico, la politica viene a ruota”).
Il Sindaco pone una questione culturale e politica, che si trascina dietro per forza anche quella economica. È piacevole farsi coinvolgere in questo tema quando chi ne scrive, o ne parla, riesce a non togliere il sorriso alla riflessione.
Quello che rende prezioso il libro di Metallo è la capacità dell’autore di incastrare nel posto giusto le frasi che a forza di essere sentite rischiano di diventare la normalità, ma che contestualizzate nelle vicende di Parlante riacquistano tutta la loro miserabile concretezza. Una capacità narrativa e documentaristica che quindi agisce da antidoto alla normalizzazione della mala politica.

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